Il comportamento economico individuale degli uomini e delle donne è stato al centro di numerosi studi soprattutto negli ultimi decenni.
L’analisi di questa tematica deve essere vista non solo nell’ambito del nucleo familiare ma nel contesto più ampio delle differenze di genere nel potere economico.
Nonostante gli sforzi profusi da organizzazioni come la EOC, Equal Opportunities Commission, le disuguaglianze inerenti al potere economico tra uomini e donne sono tuttora molto forti e sebbene negli anni la situazione stia lentamente migliorando tale distanza è ben lungi dall’essere colmata.
A causare l’insorgenza di questa situazione concorrono fattori strutturali e normativi che a lungo termine determinano un rischio maggiore di povertà per le donne rispetto che per gli uomini.
In uno studio Millar e Glendinning (1989) hanno individuato alcuni fattori che incidono sulla sperequazione tra la condizione maschile e quella femminile in merito al potere economico.
Questi fattori sono strettamente legati al contesto sociale:
1. in primis vi è il ruolo e le aspettative correlate al genere all’interno del nucleo familiare;
2. in seguito abbiamo la discriminazione sul mercato del lavoro;
3. infine troviamo gli svantaggi a carico del sistema sociale e dei sussidi.
Inoltre benché negli ultimi decenni si sia registrato un incremento progressivo dell’occupazione femminile le donne percepiscono degli stipendi mediamente inferiori rispetto a quelli degli uomini (Buck, Gershuny, Rose, Scott, 1994, 187-190).
La situazione si presenta, se possibile, ancora più difficile se si pensa che alle donne vengono preclusi o ridotti drasticamente i benefici derivanti dal mondo del lavoro quali la pensione ed il congedo per malattia.
Tale attuazione ha origine dal fatto che il sistema dei sussidi è stato creato sulla base delle prerogative dell’impiego maschile; ovvero ininterrotto ed a tempo pieno, che in passato era considerata la struttura “tipica”.
È evidente che una struttura del genere può essere confacente per le donne single in carriera ma difficilmente si adatta ai ritmi ed alle esigenze delle donne che oltre agli impegni legati al proprio lavoro devono far fronte a quelli della propria famiglia.
Oltre a ciò spesso accade che le donne nel caso in cui non abbiano un’occupazione retribuita non possano richiedere un sussidio o possano ricevere solo i contributi minimi.
Per citare un esempio in Inghilterra una vedova che vive da sola e beneficia di una pensione di reversibilità nel caso in cui decida di convivere perde questo diritto, sia che il compagno la sostenga economicamente o meno.
Tali disuguaglianze possono inoltre sommarsi alle asimmetrie di genere presenti all’interno del nucleo familiare in ambiti quali: la gestione dei redditi e delle attività, il consumo delle risorse della famiglia, la gestione del potere e la divisione dei compiti sia all’esterno che all’interno dell’ambito familiare.
A riguardo è importante evidenziare che sebbene per le donne sia progressivamente aumentato il tempo speso nello svolgimento di un’occupazione retribuita al contempo non sono diminuite le responsabilità e le incombenze domestiche ed inerenti all’ambito familiare.
Secondo uno studio svolto da Antonides e van Raaij (1998) emerge il dato significativo che le donne europee dedicano mediamente il doppio del tempo rispetto agli uomini allo svolgimento delle attività domestiche.
Escluse poche eccezioni, la combinazione dei succitati fattori pone le donne in una condizione di netto svantaggio all’interno dell’unione coniugale e, in una prospettiva più ampia, del contesto sociale.
Ciò rende quindi altamente probabile che siano le donne a dover affrontare una condizione di povertà se dall’unione nascono dei bambini ed il matrimonio finisce.
Inoltre James (1996) ha rilevato un altro dato molto interessante; le donne sposate che svolgono un lavoro retribuito hanno minori possibilità di avere un programma pensionistico perché si ritiene che potranno usufruire di quello del marito.
Dalle ricerche svolte è evidente che le donne sono spesso consapevoli della loro posizione di svantaggio, anche se la maggior parte di esse adotta ancora il modello tradizionale che si basa sul fare affidamento sulle capacità di guadagno e di pensione del marito.
La società, il mondo del lavoro ed il sistema pensionistico contribuiscono a porre la donna in una posizione di vulnerabilità?
Quali provvedimenti si potrebbero attuare per ovviare a questo problema?
Bibliografia:
Antonides G., van Raaij W.F., (1998), Consumer Behaviour: An European Perspective, Wiley, Chichester.
Buck N., Gershuny J., Rose D., Scott J., (1994), (a cura di) Changing households: The British Household Panel Sourvey, University of Essex, Colchester.
James S.R., (1996), Female household investment strategy in human and non-human capital with the risk of divorce, in “Journal of Divorce and Remarriage”, n. 25, pp. 151-167.
Webley P., Burgoyne C.B., Lea S.E.G., Young B.M., (2004), Psicologia economica nella vita quotidiana, Il Mulino, Bologna.
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Per la foto si ringrazia: The Library of Congress
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